[AGGIORNAMENTO] Scioperanti portate in commissariato e denunciate

20/09/2025 | Comunicati stampa

Le tre donne in sciopero della fame contro il genocidio in corso a Gaza sono state portate in commissariato e denunciate.

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ULTIMA GENERAZIONE: AGGIORNAMENTO – SCIOPERANTI PORTATE PORTATE IN COMMISSARIATO 

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Roma, 20 settembre 2025 – La scena è stata di una semplicità disarmante: tre donne in sciopero della fame sedute dietro l’obelisco in piazza Montecitorio, con un cartello in mano. Nessun gesto eclatante, nessuna tensione, nessuna forzatura. Eppure, nel giro di pochi minuti, un intervento massiccio delle forze dell’ordine le ha portate via, insieme a chi documentava con una videocamera. Un episodio che ha trasformato un momento pacifico e silenzioso in un atto repressivo: non è accaduto nulla, eppure è accaduto tutto. Ricordiamo che è il nostro Governo che è stato denunciato dalla Corte Penale Internazionale per complicità nel genocidio. Eppure, paradossalmente, sono proprio i cittadini che osano nominarlo a ritrovarsi allontanati e denunciati. È fondamentale comprendere la gravità di quanto accaduto: non possiamo considerare normale che il richiamo a doveri giuridici e morali comporti denunce per cittadini comuni, mentre il governo denunciato rimanga esente da responsabilità. 

Beatrice (32 anni), Alina (36 anni) e Serena (39 anni) sono le tre persone che hanno iniziato lo sciopero della fame davanti a Palazzo Montecitorio per chiedere al Governo di riconoscere il genocidio palestinese e tutelare le persone italiane in rotta verso Gaza sulla Global Sumud Flotilla. Appena arrivate sono state circondate da un drappello di agenti e funzionari che hanno tolto i cartelli e provveduto a bloccare la piazza; non succeda che i cittadini possano conoscere la verità: che siamo governati da criminali, complici di un genocidio, che temono chi pacificamente li spinge a prendere posizione. 

IL GOVERNO MELONI DEVE RICONOSCERE IL GENOCIDIO

Il genocidio in corso a Gaza è già stato riconosciuto da diversi organismi internazionali: la Commissione indipendente d’inchiesta delle Nazioni Unite ha pubblicato un’analisi legale di 72 pagine che definisce inequivocabilmente genocidaria la guerra condotta da Israele. Eppure il governo Meloni non ha ancora compiuto un atto formale di riconoscimento. Non è solo una mancanza di coraggio politico: è una scelta che implica complicità diretta. Perché è importante chiamarlo genocidio? Usare la parola genocidio non è retorica. È una categoria giuridica precisa che ha conseguenze enormi:

  • Sul piano internazionale, la Convenzione ONU sul genocidio obbliga tutti gli Stati firmatari a prevenire il genocidio e a non esserne complici. La Corte Internazionale di Giustizia ha già riconosciuto un “rischio plausibile” di genocidio a Gaza, imponendo quindi obblighi anche all’Italia. 
  • Sul piano nazionale, la Legge italiana n. 962 del 1967 (“Punizione del crimine di genocidio”) recepisce questi principi nel nostro ordinamento: anche la complicità in genocidio è punita dal nostro codice penale.

LE ULTIME CONFERME DI COMPLICITÀ DI QUESTO GOVERNO

Il governo italiano non è un osservatore neutrale. La Camera ha appena rinnovato il memorandum di cooperazione militare con Israele, mentre i deputati di Fratelli d’Italia si sono astenuti e la Lega ha votato contro persino una risoluzione europea – già timidissima – di condanna. Arianna Meloni ha persino accusato la Flotilla di “strumentalizzare” il dolore di Gaza. In tutto questo, non riconoscere formalmente il genocidio equivale a mantenere e consolidare la complicità italiana: politica, economica e militare.

La Flotilla esiste proprio perché i nostri governi sono marci. Alina, Beatrice e Serena, con i loro corpi e il loro sacrificio, sono lì a ricordarcelo e non si fermeranno fino a quando il governo italiano non avrà riconosciuto il genocidio in Palestina, agendo di conseguenza, e fino a quando le persone italiane presenti sulle imbarcazioni non saranno tornate sane e salve.  Ultima Generazione sosterrà tutte le persone che sceglieranno lo sciopero della fame come forma di resistenza nonviolenta e di pressione sul governo italiano.

BASTA SEPARARE IL BUSINESS DALLA POLITICA: BOICOTTIAMO 

Siamo già 53.000 ad aver scelto questa forma di resistenza attiva, unendoci in una mobilitazione che va oltre gli aiuti umanitari – pur necessari – e mira a compiere un atto politico concreto contro il genocidio in corso. Il boicottaggio colpisce direttamente le aziende italiane che continuano a esportare in Israele, scegliendo il profitto invece di assumersi la responsabilità di non essere complici. Continuare a commerciare significa sostenere, anche indirettamente, un sistema di violenza e oppressione: ecco perché la complicità economica non può più essere tollerata.

L’obiettivo è duplice: incidere sugli interessi economici che alimentano l’occupazione e tentare di forzare il blocco navale imposto da Israele – dove a bordo delle barche ci sono anche persone di Ultima Generazione. Gli Stati europei restano legati a interessi militari ed energetici e non intervengono: spetta a noi cittadini agire, anche da casa propria, attraverso il boicottaggio. Come ricorda Francesca Albanese in Quando il mondo dorme: “Il sistema che reprime i Palestinesi è lo stesso a cui apparteniamo noi.” Questo passa attraverso i supermercati, che vendono prodotti coltivati su terre sottratte ai palestinesi, mentre in Italia comprimono i piccoli agricoltori, trasformando la spesa quotidiana in un lusso.

Siamo già in 53.000. Unisciti anche tu: https://vai.ug/boicottaggio?f=cs